Francesco Finotti

FRANCESCO FINOTTI

Inter/Abit/Azione

Un braccio robotico, “Fanny”, ammaestrato per mezzo degli algoritmi dell’artificial  intelligence, sviluppa il proprio processo automatico di apprendimento e azione. 
La grotta incorpora uno schermo fotosensibile mentre una luce ultravioletta traccia segni e scie luminose che ne impressionano la superficie.
La rievocazione di un momento iniziatico del disegno – quello della mano umana che, nelle profondità di una caverna, traccia pochi contorni alludendo al mondo appena oltre la soglia – si intreccia con l’esperienza evolutiva di un essere-artificiale, una mente elettronica in cerca di orientamento, un nuovo tentativo dii creare dal nulla un principio di immagine e di immaginazione.
Fanny è un bambino che pensa tramite i disegni e la fantasia di altri bambini: Finotti ha immesso nella sua memoria alcuni dei disegni eseguiti dai ragazzi della scuola media Nicola Festa di Matera.
Ma poi il robot procede per tentativi ed errori, per azioni e ripensamenti, cercando la propria unità di senso e di forma.
L’artista ipotizza un surreale robot-primitivo, un robot delle caverne, un antenato che, nel cuore della terra, rintraccia dentro la roccia un rigonfiamento, una scalfittura, un solco in grado di evocare la schiena di un bisonte, un occhio, una zampa, un fianco incavato.
Ma, ancora una volta, queste incerte apparizioni, fluttuanti tra la persistente oscurità e la temporanea impressione sulla lastra fotosensibile – i graffiti luminosi svaniscono nel giro di qualche minuto – ci permettono di intravedere l’embrione di un immagine, una partenza figurale destinata a diventare documento, poi disegno, poi immagine compiuta e immediatamente svanita.
L’azione del disegnare rappresenta a tutti gli effetti una gestazione cibernetica e cognitiva: il disegno implica l’avvio di un “pensare segnicamente”, organizzare e delimitare il flusso incessante di idee e visioni prima ancora della forma.
Non vi è pensiero che non si dispieghi come un disegno mentale: pensare è già disegnare mentalmente i contorni invisibili del senso di una frase, di un concetto o di una teoria.
E bene, se disegnare è una funzione vitale, quando la macchina impara a disegnare essa vive, essa si esprime.
Ma poi, all’improvviso, le immagini scompaiono.
Si ricomincia daccapo, ogni volta nuovamente, e sempre con un tratto incerto e primordiale, arcaico e umanissimo.

Tratto dal testo in catalogo “Quasi archeologia”, di Roberto Lacarbonara.